"Avete fatto caso che gli unici roghi della storia riguardano libri e streghe?"

 

Matilde, “anima” di Napoli e d’Italia: la nostra Signora!

 

di Alessandro Zontini

 

[da Il Piccolo di Cremona, per gentile concessione]

 

Nel 1926, la Reale Accademia di Svezia si ritrovò nel grave imbarazzo di avere due eccellenti scrittrici italiane, di pari dignità e capacità artistica, candidate al Premio Nobel per la letteratura: Matilde Serao e Grazia Deledda.

A pari merito, forse, si sarebbe dovuto assegnare l’ambito premio ad entrambe ma, pare, che un intervento diretto di Benito Mussolini privò la Serao di tale soddisfazione: il premio venne attribuito a Grazia Deledda che, con ogni evidenza, godeva di maggior favore presso il Duce.

Nata in Grecia nel 1856, Matilde Serao, dopo aver tardivamente compiuto studi da maestro elementare, trovò impiego presso le società che gestiva le Regie poste ed i telegrafi dedicandosi, inoltre, alla pubblicazione di alcune novelle, genere tanto in voga nei primi decenni dello scorso secolo. A 26 anni lasciò Napoli per trasferirsi a Roma dove svolse prevalentemente attività di giornalista dedicandosi, anche, alla produzione letteraria.

 

Il Ventre di Napoli

Matilde Serao è ricordata quale grande imprenditrice dell’editoria, avendo fondato il Corriere di Roma, il Corriere di Napoli e, soprattutto Il Mattino di cui fu la dinamica direttrice.

Volgendo l’attenzione alla sua produzione letteraria è impossibile omettere di ricordare il suo primo romanzo Fantasia (edito da Casanova nel 1883), ed il successivo Il ventre di Napoli (edito da Treves, nel 1884), probabilmente la sua opera più famosa e significativa.

Il ventre di Napoli è un singolare dipinto, pregno di tensione emotiva, della situazione sociale in cui versava la città partenopea vista con gli occhi disincantati della Serao che ne tratteggia, con grave rigore e scarsa indulgenza, le specifiche caratteristiche.

Il ventre di Napoli acquisisce i crismi di un “j’accuse” rivolto, senza alcun atteggiamento diplomatico, allo stato italiano, criticato indirettamente di aver totalmente abbandonato la città di Napoli: questa, infatti, difettava per infrastrutture, sistema fognario, pulizia ed ammodernamento urbanistico, contraddistinguendosi per vari “malcostumi”, per la dilagante povertà e per una certa arretratezza sociale generalizzata. La Napoli dell’”alta” cultura e della ricercatissima arte (come non ricordare la cosiddetta “scuola di Posillipo” che, con cinquant’anni di anticipo rispetto agli impressionisti francesi, rappresentava nei colori le suggestioni del paesaggio?) pare fare da drammatico contraltare alla rassegnazione che contraddistingue larga parte dei suoi abitanti ed alle loro centenarie e complicate tradizioni.

La Serao non omette di accentuare il lato generoso e solidale dei napoletani, ma ne stigmatizza anche talune condotte che ritiene censurabili: la vendita di alimenti senza alcuna accortezza di carattere igienico, l’affidarsi a guaritori, fattucchiere e streghe che garantiscono le cure adeguate per ogni malanno. Non manca il richiamo al gioco del lotto, alfiere di una napoletanità viva e verace a cui facevano largo ricorso i partenopei nell’auspicio di ottenere una vittoria che consentisse un qualche miglioramento di tipo economico e, di conseguenza, sociale.

 

Napoli, i grandi scrittori l’hanno sempre messa lassù in alto!

La Napoli descritta dalla Serao è, insomma, una città lontana dagli stereotipi del “sole, Vesuvio e mandolino” e la grande scrittrice indugia sui personaggi che ne percorrono il “ventre” e che ricordano i tratti dei protagonisti de I miserabili di Victor Hugo.

Matilde Serao si colloca nell’alveo della tradizione letteraria di quei grandi autori che amarono la città del Vesuvio e che resta, ancor oggi, un “contenitore” con tutte le sue multiformi contraddizioni.

Come la Serao e come pochi altri, Curzio Malaparte ha saputo raccontare la città campana, precisamente in uno dei suoi momenti peggiori: la fine della seconda guerra mondiale. Nel suo celeberrimo romanzo La pelle, Malaparte riesce a “raccontare” gli orrori di una città che vive il “dopoguerra” come una tragedia di livello pari o, addirittura, peggiore della stessa guerra e dei suoi precipui orrori. Un libro che è un atto di dolente amore per una città e per i suoi abitanti: “Ma un uomo, un popolo, vinti, umiliati, ridotti in mucchio di carne marcia, che cosa v’è di più bello, di più nobile al mondo?”, chiosa lo scrittore toscano.

La stessa città partenopea ispirò Stendhal che, in Cronache italiane del 1842, scriveva: “In Europa ci sono due capitali: Parigi e Napoli e Goethe che, nel suo celeberrimo Viaggio in Italia (del 1816) esultava: Napoli è un paradiso. Tutti vivono in una specie di ebbrezza e di oblio di sé stessi. A me accade lo stesso. Non mi riconosco quasi più, mi sembra di essere un altro uomo. Ieri mi dicevo: o sei stato folle fin qui, o lo sei adesso”.

Ne L’idiota, Dostoevskij, per voce del principe di Myskin, idealizza Napoli come città che salverà il mondo, ma che “troppe volte s’è scoperta umiliata e offesa per colpa dei demoni che l’hanno violentata in nome di un solo dio, il denaro”.

Lo scrittore russo fu, peraltro, un drammatico, inconsapevole, profeta. Il governo Depretis, chissà se spronato dalle doglianze della Serao, intervenne massicciamente con un’operazione di riqualificazione igienico-urbanistico di Napoli: uno sventramento di interi quartieri che andò a modificare l’antica struttura cittadina ma che non ebbe alcun influsso sull’animo partenopeo troppo spesso in bilico tra la disperazione e la magnificenza.

Severo fu il giudizio della Serao che acuì la propria critica verso le istituzioni e, segnatamente, all’indirizzo del predetto intervento che si tradusse in una mera, violenta, speculazione edilizia in nome del dio denaro.

 

Matilde non si dimentica: parola di Pasquale Langella

Matilde Serao, cui venne dedicato, nel 1978, un francobollo monocromo da 170 lire e che rimane l’acme della vis polemica ed affettuosa per la città partenopea, è stata recentemente “oggetto” di una lodevole iniziativa.

A Port’Alba ove, pare, si concentri il maggior numero di librerie antiquarie dell’intero Mondo, è ubicata la Libreria Langella, qui l’articolo dedicato, capitanata dall’abile e bravo Pasquale Langella, geniale ideatore di una bellissima iniziativa bibliofila a cura delle Edizioni Langella. Lo stesso ha selezionato il racconto Gli altarini, tratto proprio da Il ventre di Napoli di Matilde Serao, ed ha realizzato una raffinata “plaquette” curandone sia il progetto grafico che l’impaginazione. Stampata a cura della Dal 1875 tipografia Mirate di Napoli su carta Amalfi di Amatruda, l’edizione corredata da cofanetto e legatura a filo artigianalmente realizzata è stata prodotta in 100 esemplari numerati a mano più altri ancora, in numero limitatissimo, fuori commercio.

Scrive Matilde Serao ne Gli altarini:

“Il popolo napoletano, specialmente le donne, crede alla stregoneria. La fattura trova apostoli ferventi: le fattucchiere, o streghe, abbondano. Una moglie vuole che suo marito, che va lontano, le resti fedele? La strega le dà una cordicella a nodi, bisogna cucirla nella fodera della giacchetta del marito. Si vuol avere l’amore di un uomo? La fattucchiera brucia una ciocca di capelli vostri, ne fa una polverina, con certi ingredienti: bisogna farla bere nel vino, all’uomo indifferente”.

 

Un ritratto vivido di quella Napoli insolita e misteriosa che si incontra ancora oggi e che “regala” meravigliose “magniloquenze” quali la Cappella Sansevero, la “Farmacia degli incurabili” la “Congrega del crocifisso della Sciabica”, le “Tombe dei Cristallini”, le catacombe di San Gaudioso, l’altare sotterraneo della chiesa di “Sant’Aspreno al Porto” e mille edicole votive ove spesso si venerano i Santi ed i parenti defunti: i cosiddetti “altarini”. A corredo dell’edizione Langella de Gli altarini si trova una riproduzione di uno “scatto” del bravo fotografo Sergio Siano ad un’edicola votiva (ogni copia, peraltro, cela una diversa foto acclusa in modo del tutto casuale) che pregia un’opera già di per sé assai meritoria. Un ulteriore omaggio ad una città che il mondo intero invidia all’Italia.

 

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Il ventre di Napoli di Serao Matilde. Fratelli Treves Editori, Milano, 1884

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