"Avete fatto caso che gli unici roghi della storia riguardano libri e streghe?"

 

Un gigante della letteratura che ha sfiorato i 109 anni

 

Oggi 30 maggio 2022, le agenzie diramano la notizia della scomparsa dello scrittore Boris Pahor, tra poco avrebbe compiuto 109 anni.

Dato di eBay: fino alle h. 22:30 di oggi 30 maggio sono 14 le copie di Necropoli vendute.

 

Ho conosciuto Boris Pahor molti anni fa. Mi venne alle orecchie l’eco di un suo libro: Odisej ob jamboru (Trst, Zaliv, 1969). Il titolo lo possiamo tradurre dallo sloveno con “Ulisse all’albero maestro”. Trst è ovviamente Trieste, città dove Boris Pahor è nato nel 1913.

Questo grande scrittore, insegnante e “memoria storica” dell’indipendenza e dell’autonomia del popolo sloveno aveva la doppia cittadinanza, slovena e italiana. E proprio con una gamba nel Belpaese e l’altra ben piantata in suolo sloveno ha attraversato l’intero ‘900, vivendo i tumulti e i grandi cambiamenti di un secolo indimenticabile.
Parlava ovviamente benissimo l’italiano, senza alcun accento. Andrebbe considerato al cento per cento italiano e non al cinquanta o anche meno come invece trapela da molti ambienti nostrani.

Le due prime due edizioni di Odisej ob jamboru (1969 e 1971) sono state pesantemente censurate in tutto il territorio della ex Jugoslavia. Lo stesso Pahor ha più volte raccontato nel corso di interviste di come la polizia jugoslava faceva irruzione nelle abitazioni dove erano state segnalate copie di questo libro e le confiscava. L’UDBA, cioè la polizia segreta della ex Jugoslavia, gli contestava la stampa e la circolazione della rivista Zaliv (baia, golfo in sloveno) – dove affermava principi di indipendenza della Slovenia dal resto della Jugoslavia, e della raccolta di saggi denominata Odisej ob jamboru.

Il libro, infatti, è una raccolta di scritti (già in precedenza pubblicati singolarmente su vari periodici) tutti incentrati sul carattere nazionalista della “questione slovena”. Tali scritti erano una forte critica, praticamente un attacco, verso il governo comunista jugoslavo, verso il clericalismo rosso e anche contro il più importante ideologo sloveno di allora, Edvard Kardelj, accusato in buona sostanza di ignavia da Pahor.

Scrive Enrico Bistazzoni su Ulisse all’albero maestro (lo scrivo così ma non è stato mai tradotto in italiano):

“(…) Vero e proprio manifesto del pluralismo politico e di una maggiore autonomia della Slovenia nell’ambito jugoslavo, sequestrato e ritirato da librerie e case private dalla polizia alla prima uscita [sarà poi ristampato nel 1971 e 1993, n. d. A.]”

Ci sono però anche altre campane, secondo le quali il lavoro di Boris Pahor non sarebbe stato mai bandito ufficialmente dal territorio della futura Slovenia per non provocare una resistenza a quell’egemonismo di cui lo scrittore accusava lo stesso regime nei suoi saggi. Si correva il rischio di farlo diventare ancora più popolare o, peggio ancora, farlo sembrare vittima di persecuzioni censorie, che lo avrebbero innalzato ad eroe nazionale. Le autorità decisero così di tenerlo sotto controllo. Secondo queste testimonianze, l’atto più forte che fecero contro di lui fu di convocarlo presso una stazione di polizia per interrogarlo sul contenuto del libro.

In ogni caso, Pahor è sempre stato scomodo. Non solo ultranazionalista. Infatti è stato in anni più recenti accusato di negazionismo su foibe ed esodo. Pahor sostiene da sempre una società laica, ma avverte che l’esclusione della Chiesa è poco saggia e sostanzialmente dannosa.

 

Necropoli

Quello di Boris Pahor nel contesto letterario mondiale è un singolare caso di scoperta tardiva. Non è l’unico nella storia della letteratura, ma è comunque degno di attenzione.

Salto tutti i passaggi sulla sua vita – ma non vi preoccupate, non è un tipo che si è annoiato! – per dirvi che Necropoli è il romanzo che lo ha reso famoso nel modo e che ha ha scritto nel 1967, quando aveva già più di cinquant’anni.

Ma il cacciatore di libri che interesse può trovare in tutto questo? Presto detto. Le prime edizioni slovene e italiane sono sparite nel nulla, ormai. Vi basti questo, per iniziare. Io non lo chiamerei proprio un dettaglio per chi fa il “nostro” mestiere, no?

Anche se di Pahor sono noti molti altri libri di assoluto interesse, il più importante, quello che gli ha dato notorietà internazionale, al punto, secondo alcuni, da fargli sfiorare persino il Nobel in più di un’occasione, è stato senza dubbio Nekropola (“Necropoli”, in italiano) (Trst, Trieste, Založništvo tržaškega tiska, 1967).

La prima edizione in sloveno fu sì stampata a Trieste ma rimase confinata in un idioma parlato da pochi milioni di persone per molti anni.
Non c’è dubbio: diventa fondamentale in questi casi aggiudicarsi la prima edizione del libro più famoso di un autore che si sta profilando come uno dei più importanti del Novecento europeo. Non importa la lingua.

Purtroppo quella prima edizione di Nekropola stampato nel 1967 da Založništvo tržaškega tiska (“Editoria della stampa di Trieste”) sembra poco meno che volatilizzata.
Altrettanto la prima edizione italiana, quella di San Canzian d’Isonzo per le Edizioni del Consorzio Culturale del Monfalconese nel 1997 (arrivata con ben trent’anni di ritardo!). Dispersa ai quattro venti, assorbita dal mercato degli accaparratori, infilatasi nei pertugi delle collezioni e delle biblioteche locali. Altrettanto rara, praticamente introvabile, la seconda stampa presso Ronchi dei Legionari, sempre a cura del Consorzio culturale del Monfalconese, nel 2005,

Ma di questa edizione italiana di Necropoli lo stesso Pahor ne ha parlato in un’intervista del 2008 a Mario Baudino su La Stampa, quando ha spiegato come già nel 1969 era pronta una traduzione italiana del libro, ad opera di Ezio Martin (traduttore anche di Prežihov Voranc e France Bevk).

Pahor afferma nell’intervista che editori come Einaudi e Adelphi, interpellati, non si dimostrarono interessati a pubblicare in Italia il romanzo. Nel 1995 egli semplicemente provò a partecipare a un concorso indetto dal Consorzio Culturale del Monfalconese per la migliore traduzione dallo sloveno all’italiano. Senza tanta convinzione, Pahor invia il dattiloscritto della traduzione vecchia di trent’anni di Necropoli. Con sua grande sorpresa, vince. Due anni più tardi – non avendo egli trovato un editore in Italia – nonostante il riconoscimento avuto, cede i diritti al Consorzio che pubblica così finalmente un suo libro in italiano.

 

Merito della Francia, però!

Ma come è venuto alla ribalta letteraria internazionale Boris Pahor? Grazie ai nostri cugini francesi. Dobbiamo dare atto che infatti è un editore francese a sdoganare lo sloveno di Trieste. Ed esattamente il piccolo La Table Ronde di Parigi nel 1990, quando portò in Francia (e per la prima volta all’estero) – suscitando appena un pacato entusiasmo – Pèlerin parmi les ombres (“Pellegrino tra le ombre”). Solito vezzo di alcuni editori di attribuire titoli che esulano dal contesto letterale. Ad ogni modo, tutto il mondo tradurrà lo stesso libro con il titolo di Necropoli o Necropolis (titolo originale in sloveno: Nekropola). Da allora un crescendo di considerazione fino al successo vero e proprio, con la traduzione in oltre venti lingue diverse.

 

Di cosa parla il libro

Stiamo qui parlando dell’opera più nota e acclamata dello scrittore sloveno nato a Trieste (all’epoca facente parte dell’Impero austro-ungarico e oggi come sappiamo italiana): Boris Pahor.

Si tratta di un romanzo di memorie, quindi autobiografico, intenso e sconvolgente, in cui l’autore narra della sua prigionia in un campo di concentramento nazista: opera, tra l’altro, di uno scrittore che a suo tempo venne anche segnalato più volte all’Accademia di Svezia per l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura.

 

NOTARE BENE

Una copia dell’edizione di Necropoli del Consorzio Monfalconese stampata nel 2005 a Ronchi dei Legionari sarà presente (e in vendita) alla Prima Fiera del libro raro (fiera virtuale) di domenica 5 giugno 2022.

 

 

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