Guida per le proiezioni cinematografiche popolari (senza dati editoriali, ma a cura di Mino Argentieri: Roma, La Sfera, 1954)
Raro opuscolo di chiara propaganda politica, tutta di matrice P.C.I. con delle liste molto dettagliate di film considerati da vedere, altri di carattere incerto ed altri ancora classificati come “cattivi” e assolutamente “da smascherare”.
Tra i film da vedere ci sono praticamente tutti quelli di De Sica, Rossellini, Visconti, De Santis e Lattuada. Ed anche quelli di Eduardo De Filippo, come Filumena Marturano della Variety, nonché Gioventù perduta di Pietro Germi e tutti o quasi i film sulla Resistenza.
Tra i film “cattivi” che:
“…si possono ritenere provocatori e che esaltano la propaganda bellicista, predicano l’odio antipopolare, l’anti-comunismo, il fascismo. Questi film debbono essere smascherati e denunciati per il loro carattere fascista e guerrafondaio”
c’è per esempio: Alto tradimento (Conspirator), un film del 1949 diretto da Victor Saville con Elizabeth Taylor. E c’è pure Corea in fiamme (The Steel Helmet), un film sulla guerra di Corea del 1951 diretto da Samuel Fuller, con Gene Evans, Robert Hutton e Steve Brodie. E non manca I pascoli dell’odio (Santa Fe Trail), un film del 1940 diretto da Michael Curtiz, un western statunitense con Errol Flynn, Olivia de Havilland e Ronald Reagan. E per finire, la commedia Ninotchka, un film del 1939 diretto da Ernst Lubitsch, tratto dall’omonimo dramma di Melchior Lengyel, con Bela Lugosi.
Nelle pagine dell’opuscolo ci sono anche liste di film sovietici, e pure rivisitazioni di fiabe nostrane come Pinocchio. E alcuni film che potrebbero essere rifacimenti di opere famose senza autorizzazione, come “Zanna Bianca“, un lungometraggio sovietico in bianco e nero prodotto nel popolare studio cinematografico scientifico nel 1946 dal regista Alexander Zguridi, sicuramente basato sull’opera omonima di Jack London.
Un viaggio retrospettivo: “Guida per le proiezioni cinematografiche popolari”: l’ideologia al potere?
In un’era segnata da aspre battaglie ideologiche, l’anno 1954 segnò l’arrivo di un testo anonimo destinato a cambiare il paesaggio della cultura cinematografica italiano: l’opuscolo “Guida per le proiezioni cinematografiche popolari“. Questo manuale, sebbene la sua paternità rimanga anonima, sappiamo che fu redatto da Mino Argentieri – scrive Ermanno Taviano nel suo studio “Propaganda, Cinema e Politica 1945-1975“, pubblicato negli Annali dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico nel 2008.
Il testo intendeva essere una bussola per il pubblico e i dirigenti del cinema nell’era postbellica, un periodo in cui il cinema assumeva un ruolo cruciale nelle dinamiche sociali e culturali. L’obiettivo primario era educare; invitare il pubblico a esercitare uno sguardo critico sul cinema, fosse dominato da strutture borghesi o influenzato dall’estetica hollywoodiana.
Accanto alla vastità di informazioni logistiche e legali, la guida metteva in evidenza la selezione di film consigliati, un compendio di opere cinematografiche che avvaloravano la missione politica del Partito Comunista Italiano. Tra queste opere c’era un meraviglioso assortimento di film drammatici, gangster, film sui penitenziari e anche comici.
La Guida non si limitava solo a suggerire film, criticava apertamente opere che propagavano l’anticomunismo, il fascismo o l’odio antipopolare. La lista nera includeva una vasta gamma di opere, dai film di guerra agli inaspettati come “Ninotchka” di Ernst Lubitsch.
Ma una cosa ancora più affascinante della Guida era la sua inclusione di film italiani che si allontanavano dai canoni neorealistici. Tra questi vi erano film di Totò, cosiddetti di “neorealismo rosa”, di registi come Comencini e Emmer. Sicuramente, il neorealismo e il cinema sovietico occupavano un posto di rilievo, ma la guida evidenziava la necessità di sostegno anche per i “migliori film realistici italiani e stranieri”.
Nel contesto storico del dopoguerra italiano, l’influenza di questo opuscolo non può essere sottovalutata. Gestiva la divulgazione della cultura cinematografica, mirando a formare non solo spettatori ma cittadini attivi. Ha combattuto contro il settarismo nel cinema e ha difeso vigorosamente il valore del cinema democratico e sovietico.
E non tutto il male vien per nuocere!
Nonostante l’entusiasmo e il tono enfatico e schematico che caratterizzava la Guida per le proiezioni cinematografiche popolari, il testo stesso contraddiceva in parte il suo inquadramento ideologico e politico con la scelta dei film consigliati. Infatti, la guida sottolineava l’importanza dei film sovietici e dei film democratici di tutti i paesi come l’avanguardia di una cinematografia che credeva in una nuova umanità, in un mondo pacifico libero dall’oppressione umana, in cui l’arte, il cinema e la cultura potessero essere strumenti di liberazione dalle necessità, dall’ignoranza e dalla superstizione.
Questa idea mostrava anche la crescente convinzione che la battaglia per un cinema di qualità, nell’ambito della cosiddetta “battaglia per la difesa della cultura”, potesse trasformare lo spettatore da un elemento passivo in una parte attiva e critica dello spettacolo cinematografico, contribuendo così alla costruzione di un nuovo tessuto democratico. Nonostante ciò, l’approccio non era solo strumentale, ma cercava anche di coinvolgere il pubblico attraverso diverse iniziative organizzative, come mattinate popolari, proiezioni di cicli di film, proiezioni di film per bambini o a passo ridotto, e anteprime popolari. La guida spiegava anche come organizzare queste iniziative, compresa la presentazione, il dibattito e la distribuzione di schede critiche informative e libri consigliati, così come l’organizzazione di referendum e concorsi.
In aggiunta, la Guida incoraggiava l’azione per influenzare gli esercenti a fare scelte diverse nella programmazione, rendendo il cinema uno strumento per favorire l’incontro diretto tra i comunisti e i cittadini, che era uno dei principali strumenti di propaganda del Partito Comunista Italiano.
Tuttavia, come emerge anche dalla Guida stessa, c’era una certa confusione tra la battaglia specificamente culturale e la propaganda nel suo senso più stretto. Nonostante l’adesione a livelli bassi di comunicazione politica e la valorizzazione del miglior cinema “democratico”, la battaglia per il “realismo” come parte della politica culturale del Partito Comunista cercava di mettere in comunicazione intellettuali e operai, alta cultura e cultura popolare.
La produzione cinematografica del Partito Comunista Italiano e delle società ad esso collegate presentava due linee di tendenza: una più strettamente di propaganda e un’altra di inchiesta e scoperta del paese in parallelo alla poetica neorealista. I film appartenenti a questa seconda linea erano più originali, andavano oltre la propaganda e diventavano un modo per raccontare l’Italia, anche se si focalizzavano principalmente sulla critica del sistema esistente senza una prospettiva catastrofica. Questi film documentavano una faccia diversa del paese, spesso assente nella cine-giornalistica ufficiale.
La storia della propaganda cinematografica comunista si intrecciò con quella del grande cinema documentaristico italiano, poiché molti dei registi più importanti avevano ricevuto formazione in questa scuola. In effetti, molti dei migliori documentari mondiali, ma anche alcuni dei peggiori, circolarono in Italia grazie al Partito Comunista Italiano, poiché alcune delle persone coinvolte nella produzione di quei film erano comuniste.
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