"Avete fatto caso che gli unici roghi della storia riguardano libri e streghe?"

 

Canzoniere perduto, di Paolo Bernobini (Trieste, Edizione Il Fiordaliso, 1952). Ed. di 400 copie.

 

Canzoniere perduto” di Paolo Bernobini è una raccolta di poesie pubblicata nel 1952. Caratterizzata da un ermetismo denso, la poesia di Bernobini non è facile da decifrare. Questa raccolta riflette il sentimento della solitudine, delle vanità dell’uomo e dell’angoscia esistenziale. Il suo stile poetico, pur avvicinandolo al nullismo leopardiano, possiede una musicalità e un ritmo propri che lo rendono distintivo. Noti filoni di pessimismo attraversano le opere in “Canzoniere perduto“, ma quando il suo canto si distende, lo stesso dolore appare circonfuso di una dolcezza indicibile. In definitiva, si può affermare che offre un’immagine intensa e personale dell’esperienza umana e dell’ansia esistenziale del suo tempo.

 

Paolo Bernobini: poeta, giornalista, intellettuale unico

 

Milano, Roma, Parigi, Londra: questi sono solo alcuni dei luoghi attraverso i quali ha navigato Paolo Bernobini (1927-1970), un distintivo intellettuale giuliano e cittadino del mondo. Nato a Parenzo d’Istria e vissuto a Trieste, Bernobini è un personaggio la cui lente di ingrandimento culturale non aveva confini geografici. È stato, come definito dalla penna acuta di Eugenio Montale nel 1970, un “spirito folletto” che ha attraversato l’esistenza senza l’ambizione di attirare l’attenzione su di sé. Montale lo ha ammirato per essere un “primordiale”, un individuo indubbiamente autentico nel suo genere.

La vita di Bernobini, purtroppo, si è conclusa prematuramente all’età di 43 anni. Nonostante la brevità della sua esistenza, la sua influenza sulla letteratura e sul giornalismo italiano è stata significativa. Era noto per la sua capacità di scrivere sia articoli meticolosamente ricercati che poesie toccanti. Nel 1953, ha meritato il prestigioso premio San Babila a Milano per i suoi versi raccolti in un volumetto dal titolo “Canzoniere perduto” (Trieste, Edizione Il Fiordaliso, 1952).

Bernobini ha anche lavorato con riviste non particolarmente definite “culturali”, come “Playmen“, che però hanno permesso a questo intellettuale di esprimere ampiamente il suo talento unico. In queste pagine, Egli ha sfornato articoli raffinati e culturalmente densi che Montale ha descritto come “scampoli di prosa”. Era un autentico usurpatore di estetica e un caleidoscopio di perspicacia e cultura.

Bernobini era noto anche per la sua originalità nell’uso della lingua, spesso ruotando tra dialetti e stili per abbattere i confini tradizionali di espressione. Questo gli ha permesso di dare vita a colloqui strampalati e di immergere i suoi lettori in un gioco linguistico affascinante e unico. La sua figura era spesso associata a quella di conflitto con diversi direttori di giornale, a causa della sua natura “scomoda”. Tuttavia, il suo profilo è cresciuto nell’ombra di queste controversie, cementando la sua posizione come una delle figure più distinte nel panorama letterario e giornalistico italiano del suo tempo.

Questo straordinario scrittore ha anche lasciato dietro di sé una potente eredità satirica, una raccolta dei più strampalati colloqui scritti in stile colloquiale e utilizzando modi di dire tipicamente triestini e istriani. Queste opere forniscono una testimonianza preziosa di un lessico e uno stile che oggi viene considerato perduto.

 

La visione critica su Paolo Bernobini

Nel dicembre 1970, il Corriere della Sera pubblicò un articolo di Eugenio Montale dal titolo “La breve stagione di un poeta”. Montale descriveva Bernobini come un essere toccato dalla grazia, un individuo naturale e inconfondibile. Bernobini era un figlio estravagante di Trieste, che si distingueva dai suoi predecessori per la sua visione del mondo. La sua fama cominciò a crescere grazie all’iniziativa di alcuni amici, che inviarono una sua raccolta di versi a Milano per partecipare a un concorso letterario. Fu così che nel 1952 venne segnalato per il suo “Canzoniere perduto“, un’opera poetica che lasciava intravedere il suo talento straordinario.

La sua attività non si limitò alla poesia, ma si estese anche alla critica letteraria e alla traduzione di opere straniere. Bernobini tradusse volumi editi in francese, inglese e tedesco, dimostrando una profonda conoscenza della letteratura europea. Tuttavia, nonostante i suoi successi iniziali, nel corso degli anni Bernobini venne citato sempre meno frequentemente nei convegni e nelle pubblicazioni. Il suo nome sembrò scomparire nel silenzio, fino a quando nel 2006 venne discussa all’Università di Trieste una tesi di laurea dedicata a lui.

La critica ha sempre avuto opinioni divergenti su questo autore. Alcuni lo considerano un poeta geniale e un critico acuto, in grado di cogliere sfumature e significati profondi nelle opere che analizzava. Altri, invece, lo ritengono un’anima inquieta e troppo avanguardista per il suo tempo, il cui talento potrebbe essere stato più compreso e apprezzato in epoche successive. La sua abilità come intervistatore è stata particolarmente notevole. Bernobini preferiva lasciare che l’intervistato parlasse liberamente di sé, creando uno spazio di dialogo autentico. Un esempio di questo approccio fu l’intervista avuta con Orson Welles al Colosseo, dopo la sua interpretazione nel film “Ro.Go.Pa.G.” di Roberto Rossellini e Pier Paolo Pasolini.

Nonostante l’interesse suscitato dalle sue opere, molti dei suoi scritti più complessi e lunghi vennero pubblicati solo da alcune riviste fuori dalla cultura con la “C” maiuscola come ABC o Playmen. Una delle ultime sue pubblicazioni, dal titolo “Sopra il binario morto della Storia“, rifletteva sulla possibilità di aver preso un treno sbagliato nella storia. Un interrogativo che, anche a vent’anni dall’entrata nel terzo millennio, sembra ancora attuale.

Oggi Paolo Bernobini rimane un autore di culto, amato da alcuni e trascurato da altri. La sua breve stagione artistica ha lasciato un segno indelebile nel panorama letterario italiano e il suo lavoro continua ad essere oggetto di studio e discussione. La sua straordinaria visione del mondo e la sua sensibilità poetica restano un’eredità preziosa per le generazioni a venire.

 

 

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