Tempo di uccidere, di Ennio Flaiano (Milano, Longanesi, 1947).
Nel 1947, “Tempo di Uccidere“, l’opera di esordio dello scrittore, giornalista e sceneggiatore Ennio Flaiano, vinse l’edizione inaugurale del Premio Strega. In disparte dalle celebrazioni, Flaiano accoglieva il successo con una diffidenza tipica, convinto che l’apprezzamento verso il suo lavoro fosse un mero equivoco. Il suo capolavoro non è solo un romanzo da premio, ma una pietra miliare della letteratura italiana.
“Tempo di Uccidere“, che prende il titolo da un versetto dell’Ecclesiaste, presenta una storia ambientata in Abissinia durante la campagna del 1936. Il suo protagonista, un tenente dell’esercito italiano, uccide per errore una ragazza indigena, scatenando una serie di eventi che lo porteranno a confrontarsi con la solitudine, il senso di colpa e la paura della malattia.
Liberamente ispirato alle esperienze personali di Flaiano durante la guerra, l’opera potrebbe essere scambiata per un romanzo di guerra, ma è molto di più. Nonostante la lettura possa essere ostica, offre la cruda analisi del viaggio introspettivo di un uomo che si ritrova a fare i conti con le sue paure più profonde.
“Tempo di Uccidere” merita di essere annoverato tra i grandi capolavori della letteratura per le sue profonde riflessioni sulle inquietudini umane. Va oltre la carneficina della guerra, il colonialismo o il fascismo, temi che vediamoci contenuti ma che sono solo pretesti. Il vero fulcro del romanzo è il conflitto interiore, l’indagine del sé, la lotta incessante con le proprie ombre.
Al termine del romanzo, il protagonista non viene denunciato per l’omicidio commesso, ma resta solo con il suo senso di colpa e la paura della lebbra. Questo rimanda al concetto espresso da Flaiano che l’uomo è destro solo con se stesso, è la propria coscienza il suo giudice più severo.
L’importanza di “Tempo di Uccidere” risiede nella sua abilità di rammentarci che ogni uomo, indipendentemente dall’epoca in cui vive o dalle circostanze in cui si trova, è un enigma per se stesso. Ci spinge a riflettere sullo strano paradigma dell’esistenza umana, in cui passiamo la vita cercando di capire chi siamo, per poi rendereci conto che, a volte, non siamo altro che naufraghi in un mare di dubbi e incertezze.
In “Tempo di Uccidere“, Flaiano ci ha regalato un potente specchio, un capolavoro senza tempo che ci sfida a fissarlo negli occhi e affrontare la realtà di chi siamo realmente. Un viaggio introspettivo che testimonia il genio di Flaiano, che continua a risuonare decenni dopo, nonostante il suo timido ritiro dalla scena letteraria.
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