Il mito dell’assenzio in un libro
Lo sapevate? C’è in italiano il primo manuale per i cultori dell’assenzio. Andrea G. Pinketts introduce Alex Panigada, che prende per mano il neofita e lo inizia ai riti quasi maniacali dei cultori dell’oppio verde.
I segreti di un liquore che è leggenda che si fa corpo, linfa vitale e preziosa alla quale hanno attinto poeti e letterati del Settecento. Istruzioni per l’uso senza perdere il fascino di un veleno che si può finalmente bere.
D’un tratto non sembrano più lontani i tempi delle notti folli di Verlaine e Rimbaud, e ancor di più si avverte l’eco dei ragazzi di vita che si consegnavano nelle braccia di Morfeo, ebbri di un liquore verde che non odorava di zolfo senza per questo salvarsi dall’inferno. Un nome proibito e al tempo stesso seducente aleggiava tra le volte delle cattedrali profanate: assenzio.
Ai nostri giorni, cadute le proibizioni, svanite le sue disgrazie, l’assenzio è il fascino puro di una riscoperta. Il gusto ritrovato nel riassaporare echi e sensazioni di un passato ottenebrato, ricondensate d’improvviso e poi di nuovo precipitate prima nel verde dello smeraldo e poi nel bianco di un latte vergine che si materializza dal nulla. E il verde è un aroma, per nulla sottile, anzi invadente, che tutto avvolge.
Sono queste le atmosfere che il lettore deve aspettarsi sfogliando La fata verde – Storia dell’assenzio di Alex Panigada (Roma, Stampa Alternativa, 2007). Il libro è ancora trovabile in varie librerie.
Introduce i giochi lo scrittore Andrea G. Pinketts, già a suo tempo autore di L’assenza dell’assenzio (Milano, Mondadori, 1999), giallista consacrato e adepto reo confesso della dea verde.
Leggendo il libro di Panigada si scopre che l’assenzio è un mito commestibile, un’icona che scende a patti con il suo consumatore. Elemento etereo e carnale al tempo stesso.
La sua preparazione è rituale, ma semplice, alla portata anche del più inesperto bevitore. Serve solo un minimo di destrezza nel mescolare la preziosa essenza con l’acqua (si chiama louche) per raggiungere il giusto equilibrato nel gusto, richiesto dai suoi estimatori.
Molti lettori scopriranno, forse con un po’ di meraviglia, che il rituale cosiddetto flambé, che prevede di incendiare la zolletta di zucchero, è in realtà una barbara usanza dei barman di Praga, e risale ai primi anni ’90.
“Nessun esperto, intenditore, storico della cultura francese o conoscitore dell’assenzio suggerirà mai di berlo infiammato”, afferma Panigada con un velato senso di disgusto per gli eretici che si ostinano a farlo. Lo zucchero caramellato, infatti, inquina irrimediabilmente il sottile aroma dell’assenzio.
Con La fata verde si entra in un mondo dove l’Artemisia absinthium non è solo una pianticella che si arrampica per ripidi sentieri di campagna, ma un pezzo di storia della società e del costume tra i secoli XIX e XX. Numerosi i bevitori eccellenti, che contano i nomi più altisonanti della letteratura, della poesia, dell’arte, come Baudelaire, Edgar A. Poe, Oscar Wilde, Jack London, Picasso, Hemingway.
Con questo titolo, la collana Eretica di Stampa Alternativa sembrò finalmente inaugurare una nuova veste grafica dei suoi libri; aspetto, questo, che era fin troppo ridotto ai minimi termini. Ma, alla fine, possiamo dire che ne è venuta fuori solo una stupenda, meravigliosa mosca bianca.
Disponibilità del libro (sempre aggiornato)
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La fata verde. Storia dell’assenzio di Alex Panigada, 2007, Stampa Alternativ
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