"Avete fatto caso che gli unici roghi della storia riguardano libri e streghe?"

Il caso Marilyn Monroe, Robert Slatzer (Mondadori, 1980)

Disquisendo di libri “introvabili”, dobbiamo mettere alcuni paletti. I libri introvabili non lo sono per sempre. Un libro è introvabile in una determinata fase della sua “vita”. Lo è prima o dopo che si sia verificato qualcosa. Un libro diviene introvabile se un tribunale lo fa sequestrare. Ma questa sua introvabilità dura fino al momento in cui un altro tribunale non ne sentenzia la lecita circolazione.

È proprio questa introvabilità “a tempo” che fa diventare pazzi a volte. Bisogna sempre seguire i casi della cronaca, “stare sul pezzo” costantemente, senza mollare mai. Tutto può cambiare improvvisamente, volgendo in meglio o in peggio. Anzi, niente è immutabile per cui occorre stare all’erta.
Il cacciatore di libri annusa l’aria, controlla il vento, segue le previsioni del tempo, per così dire. Ogni segnale può essere importante, oppure non dire nulla di particolare.

 

Il piccolo Tommy

Sempre sui libri trovabili o introvabili “a tempo’ un altro esempio calzante è quello di un libro uscito nel 2007.
Tutti quanti vi ricorderete il terribile fatto di cronaca nera del marzo del 2006, quando nella campagna di Parma fu rapito un bambino di un anno e mezzo di età, Tommaso Onofri, che di lì a poco sarà barbaramente ucciso dai suoi sequestratori.
La vicenda giudiziaria che ne nacque ebbe un inevitabile epilogo “libresco’. L’avvocato degli zii del piccolo Onofri, Stefano Catellani, dette alle stampe, per l’editore Battei di Parma, Il piccolo Tommy, ossia La verità negli atti d’indagine, intercettazioni, depistaggi, testimonianze. Il libro esce nominalmente nel settembre del 2007, ma va in distribuzione nei primi giorni del nuovo anno. E proprio a gennaio del 2008 il libro viene ritirato dal commercio. Il Tribunale di Ancona, competente per il caso in questione, infatti, contesta la pubblicazione di atti ancora coperti dal segreto istruttorio.
Solo il provvedimento della Cassazione nel giugno del 2008 riportò Il piccolo Tommy nelle librerie.
L’editore Battei ha ricordato alla stampa come quella fosse la prima volta che una sua pubblicazione veniva sequestrata. Una cosa del genere non era mai accaduta in passato, neppure durante il periodo fascista, sebbene la casa editrice non sia mai stata allineata alle “aspettative” del regime.
Per il collezionista di libri introvabili o proibiti Il piccolo Tommy è stato una “preda” interessante soltanto nel breve periodo della sua sparizione forzata, cioè dal gennaio al giugno 2008. In quei sei mesi il libro non si trovava. Qualche giornale ne parlava, ne parlavano i frequentatori dei forum su Internet, cresceva l’interesse ma nessuno poteva reperirne delle copie.
Io mi ero mosso in anticipo, voci non confermate su un imminente sequestro si erano andate diffondendo già prima di Natale del 2007 e un collega ligure me ne aveva mandate due copie, avute direttamente dall’editore.

La vicenda si chiuse definitivamente nel novembre del 2010 quando lo zio della piccola vittima si impegnò a comprare mille copie del libro (le rimanenze) per toglierlo definitivamente dalla circolazione.

Esaurito il lasso naturale e fisiologico di introvabilità, il libro che tutti vogliono perde il suo fascino, va a rimescolarsi agli altri suoi consimili dove il suo destino sarà quello di ammuffire nella mensola dimenticata di qualche libreria di periferia.
Il caso del Piccolo Tommy, infatti, sia pur così tragico e commovente, è destinato ad assopirsi pian piano, e il libro che ha prodotto – salvo imprevedibili “ritorni di fiamma” – scivolerà inesorabilmente verso l’oblio.

Questo vale a maggior ragione se la vicenda ha dimensioni che la cristallizzano nel suo periodo storico o, come nel caso appena ricordato, se riguarda un fatto di cronaca, sia pur grave, che non ha seguiti o sviluppi rilevanti.

 

Una domanda sacrosanta

In un mio libro avevo detto “Come si diventa cacciatori di libri’”, cominciando a dare un po’ di definizioni. Provo adesso a continuare su quella falsariga ma correggendo leggermente il tiro. La domanda diventa “Perché diventare cacciatori di libri?” ed ecco che vi si rivela un quesito fondamentale su cui ponderare.
Riflettete su questo. In un mondo dove la saturazione del mercato editoriale per mano dei grandi gruppi sembra irretire ogni iniziativa del piccolo che miri a qualcosa di un po’ più esteso del proprio quartiere, in un clima politico da anni cristallizzato in un sistema bipolare immodificabile che tutto allinea e uniforma, che cosa ci trattiene su questa terra se non lo spirito d’avventura e la ricerca di testi perduti? C’è forse qualcosa di più elettrizzante (in ambito bibliofilo) di mettersi sulle tracce della “lepre” che a tutti sfugge e che a noi, siamo certi, concederà la sua vita?

Molti miei colleghi cacciatori di libri, lo sono diventati per caso.   Vi voglio raccontare la storia di un cacciatore italo-argentino che si fa chiamare Simon Bolivar; come il condottiero del XIX secolo che molti stati sudamericani considerano eroe nazionale. Simon vive tra Milano e Buenos Aires, lavora per un’azienda che opera in due continenti. Ah, non vi avevo ancora detto che il cacciatore di libri, salvo casi eccezionali, è il classico “secondo lavoro”?
Durante i suoi continui spostamenti sui due lati dell’Atlantico, lui, bibliofilo innato e grande esperto di libri sui dischi volanti, fa la conoscenza di un libraio spagnolo di Madrid. Questi si lamenta del suo lavoro, gli dice che da un po’ di tempo alcuni ufologi lo hanno “preso di mira” e gli chiedono insistentemente alcuni titoli che lui non ha né voglia, né tempo di cercare. Anzi, sostiene che forse neppure esistono, e che questi strani figuri molto probabilmente si starebbero prendendo gioco di lui.
Tra il serio e il faceto, Simon gli chiede di essere messo in contatto con questi collezionisti, visto che lui si interessa proprio di libri sugli UFO. Il libraio non chiede di meglio e, tornato a Madrid, gli gira le mail con evidente soddisfazione.
Siccome il libraio gli aveva detto che si trattava di gente abbastanza molesta, il nostro eroe vede bene di aprire un nuovo account di posta e inventarsi un nickname per salvaguardare la sua privacy. Nasce così il mito di Simon Bolivar.

Fu così che il nostro eroe fa la sua conoscenza di una realtà, quella dei libri spagnoli sui dischi volanti, a lui completamente sconosciuta (finora si era interessato solo di titoli italiani o al massimo inglesi).
In particolare balza alla sua attenzione un titolo, Ummo. Otro Planeta Habitado, scritto da Fernando Sesma. Un libricino del 1967 che gli spagnoli battezzano con un’espressione sintomatica: que no se puede hallar (cioè “introvabile”).
In estrema sintesi il libro parla di un pianeta lontano, chiamato Ummo, dei suoi abitanti e della loro lingua finalmente svelata. Che ci crediate o no in Spagna questo libro è un cult assoluto e arriva a quotazioni vertiginose.
Simon, per farla breve, si impossessa di una copia e alla fine la vende per tremila euro a un ricco collezionista di Siviglia. L’acquirente era un tipo un po’ svitato visto che, dopo qualche mese, la rimette in vendita su Internet per la stessa cifra. E non credo che qualcuno l’abbia mai comprata. Anche se non si può mai dire.
Da quel momento Simon Bolivar scorrazza per la Spagna e l’Argentina e ormai è ben conosciuto nel suo ambiente. Chi vuole un libro raro o rarissimo sugli OVNI spesso passa dalle sue sapienti mani.
Mi dice in una mail: “con il tempo nasce una specie di chimica, sono diventato il deux ex machina di alcuni titoli. Sembra quasi che certi libri siano destinati a finire nelle mie mani. Io li attiro, o forse sono loro che si consegnano a me.” (Legge n. 10 del mio icosalogo, A volte saranno i libri a trovare voi).
Ecco la risposta alla domanda iniziale di questo paragrafo: in realtà non si diventa cacciatori di libri, sono i libri (certi libri, non tutti) che decidono di diventare nostre prede. Le “delicate prede”, come le chiamo io, parafrasando il titolo di un romanzo di Paul Bowles.

Anch’io ho avuto a che fare con Ummo. Otro Planeta Habitado, di Fernando Sesma. Era il 2004, ne avevo parlato con Marco Mucci di Roma, il quale mi ricordava le sue esperienze madrilene, in parte legate a questo libro.
Come Marco a suo tempo, pure io dubitavo di poterne mai trovare una copia, e in ciò contravvenivo alla Legge n. 1 del mio icosalogo (Abbiate fede, non dubitate mai). Invece, contro ogni aspettativa, una breve ricerca su Iberlibro.com mi fece fare la scoperta: una copia del libro “che non si può trovare” era tranquillamente disponibile in una libreria di Barcellona. Alla faccia dei pessimisti, degli iettatori e affini.
Feci immediatamente l’ordine, fornendo i dettagli della carta di credito e accollandomi la soluzione più costosa (ma più rapida) per la spedizione.
Dopo 24 ore non mi era arrivata alcuna conferma dal libraio. Cominciavo a fremere d’impazienza. Così tirai fuori il mio miglior castigliano (anche se avrei dovuto appellarmi al catalano, ma non lo conosco) e telefonai al libraio.
Che grave errore! Quelli mi fiutarono al di là dei Pirenei. Chi mi rispose, pacato e accondiscendente, mi disse che non avevano ricevuto alcun ordine. Impossibile! Le attese non finivano mai, mentre io letteralmente “mi consumavo” alla cornetta. Morale della favola: mi fecero aspettare (e sperare) per tre giorni, rimandando sempre l’esito della loro risposta che, chiaramente fu negativo. Insomma, a sentir loro il libro era già stato venduto e la mia richiesta non era arrivata.
Sapevo come erano andate le cose. La mia richiesta era stata regolarmente inoltrata al libraio. Mi aveva tradito l’impazienza. Una telefonata dall’Italia per un libro spagnolo di poco conto (Ummo è un librettino di appena 10 x 15 cm, formato cartolina) aveva insospettito qualcuno della libreria. Era bastata una rapida ricerca su Internet, e l’aver visto che il libricino in questione era una specie di Santo Graal per gli ufologi iberici, per prendere la decisione di “toglierlo dal mercato”. E a nulla valsero le proteste di uno sconosciuto cliente italiano.

 

No, l’antisemitismo no!

Volete un consiglio? Se dovete scrivere un libro evitate accuratamente di parlare male degli ebrei. No, non lo dico ironicamente. Sono serissimo. Tutto è lecito, tutto è consentito in tema di libri proibiti. Potete parlare di sesso tra minorenni, dell’uso degli stupefacenti come antidepressivi, di come costruirsi un’atomica in casa (sempre che riusciate a beccare un pusher che vi rifornisca di plutonio, s’intende), ma non vi azzardate a mettere in discussione, che so, i numeri del genocidio, per dirne una. La lobby ebraica è potentissima, permea la società, trasversalizza il potere. Bello “trasversalizza”, eh? L’ho appena inventato e fa un certo effetto!
Beh, la verità di questa digressione è che non sapevo bene come introdurre un altro caso di introvabile “a tempo” (ma non solo a tempo, come vedremo) di cui però voglio assolutamente parlare.
Su Pasque di Sangue di Ariel Toaff è stato scritto molto in un periodo abbastanza breve. Vediamo un po’ che è successo.
Ariel Toaff è il figlio dell’ex rabbino capo di Roma, Elio Toaff. Ariel è uno studioso di tradizioni ebraiche, uno storico affermato, ma propugnatore di teorie avanguardiste, arrise a una parte non indifferente degli storici di ebraismo.
L’opera fu ritirata dall’autore presso l’editore Il Mulino nel febbraio 2007, dopo pochi giorni dall’uscita. Sono solo tremila le copie vendute prima del ritiro, con conseguente macero delle restanti. Ariel Toaff si è visto costretto all’atto dopo le incredibili rimostranze degli stessi ebrei, che lo accusavano di fomentare l’antisemitismo.
Nel “primo” Pasque di sangue, infatti, Toaff affermava che nei secoli passati gli ebrei ashkenaziti, in talune circostanze, avevano compiuto sacrifici umani nella ricorrenza dei riti pasquali, vittime alcuni bambini.
L’unica voce fuori dal coro è stata quella dello storico fiorentino Franco Cardini, che ha dato alle stampe Il caso Ariel Toaff, un libricino da ascrivere al ruolo dei nuovi introvabili.
Ma come può il cacciatore di libri rapportarsi a un libro come Pasque di sangue?
Semplice, tenendo bene a mente che questo libro è qualcosa di più di un mero esempio di introvabile “a tempo”. Anche a distanza di anni, infatti, conserverà un innegabile valore storico, un significato condiviso e soprattutto il fascino di un caso che, suo malgrado, ha fatto epoca.
Quando un articolo su La Stampa di Torino presentò l’imminente uscita del libro di Toaff, apparve evidente che un libro sui sacrifici umani compiuti da ebrei, scritto da un ebreo, era destinato ad alzare un prevedibile polverone.
Un mio collega di cacce libresche mi racconta che – annusato il possibile prossimo raro – ne ordinò una dozzina di copie, certo di mettersi in tasca un piccolo investimento. Delle dodici copie ordinate, gliene arrivarono solo sette, ma il libro, “stoppato” dallo stesso autore, scomparve quasi subito dalle librerie. Delle tremila copie stampate sono poche quelle che si sono salvate dal macero. Così riuscì a venderne alcune su Ebay, fino a 300 euro l’una.
Rispetto a Il piccolo Tommy il libro di Toaff si presta a un interesse più ampio. Di entrambi, al loro apparire, si poteva ipotizzare a ragion veduta una rapida scomparsa. Ma il ragionamento giusto da fare era che mentre Il piccolo Tommy riguardava un fatto che (pur avendo raggiunto la ribalta nazionale) era destinato a una perdita di interesse per cause naturali, per così dire, Pasque di sangue metteva in moto una polemica di più alto livello, destinata a perdurare e ad essere rilanciata in concomitanza dei ripetuti interventi di personaggi e autorità, per i mesi a venire.
Così effettivamente è stato. Pasque di sangue è stato poi ristampato, epurato dei riferimenti più crudi, anche se l’autore non ha assolutamente abiurato le sue teorie. Anzi, ha presentato nuovi documenti in supporto di esse.
Per essere tacciati come antisemiti non c’è bisogno di negare la Shoa. Credo sia sufficiente il non sostenere le ragioni dell’ebraismo con sufficiente forza.

Trovo curioso che alcuni libri sugli ebrei che mi è capitato di sfogliare giochino sull’ambiguità dei titoli, delle parole, talvolta della punteggiatura. Mi riferisco innanzi tutto a un libro di Piero Pellicano uscito per Baldini & Castoldi nel 1938 che presenta, per così dire, due titoli diversi. In copertina il primo recita Ecco il diavolo, Israele, mentre sul frontespizio vira leggermente in Ecco il diavolo: Israele. Apparirà evidente come l’uso dei due punti, al posto della virgola, ne cambi drasticamente il senso. Quello che prima era solo un avvertimento, un’esortazione, eccolo tramutarsi in una chiara condanna.
A una recente edizione della fiera del libro antico di Milano il mio editore ha fatto l’errore non tanto di soffiarmi da sotto il naso un libricino come Israele deve essere distrutto, quanto quello di mostrarmelo. Inutile vi dica chi ce l’ha adesso. Il titolo a prima vista lo farebbe immediatamente ascrivere al ruolo delle pubblicazioni antisemite, il tutto rinforzato da un esplicativo sottotitolo: Preparazione al genocidio nel medio-oriente. Invece, con mia grande sorpresa, ho scoperto trattarsi di un libro scritto da un’ebrea, tale Miriam Novitch, corrispondente da Israele per L’Avanti.
Il libro non reca la data di stampa, comunque anni Settanta (suppongo poco dopo la proclamazione dello Stato d’Israele), e riporta solamente il nome di una tipografia romana. Porta avanti le rivendicazioni di Israele, riunite in sette dossier e ventila l’ipotesi di un complotto arabo per commettere un genocidio in medio-oriente. Il contenuto del libro è molto interessante e spazia in varie direzioni, inclusa quella dei libri proibiti. Quindi si parla dei Protocolli dei Savi di Sion, del Mein Kampf di Hitler, ma anche del famigerato Sacrifici umani nel Talmud, libro antisemita ristampato in Egitto nel 1962 (l’edizione originale è del 1890). Non credo sia mai stato tradotto in italiano, però c’è la versione in inglese, Talmudic human sacrifices. Se proprio volete farvi male.

Un libro molto raro sull’antisemitismo l’aveva messo in vendita la Libreria Le Colonne di Torino nel catalogo del primo semestre 2010. Si trattava di Charlot Ebreo 2 volte di May Reeves (e Marco Ramperti). Purtroppo sono arrivato tardi “sul pezzo” e chissà quando, e se, ricapiterà l’occasione. Non mi sono azzardato a mettere in atto la tecnica della “proposta indecente” (ne parlo al capitolo 2 del mio Manuale del cacciatore di libri introvabili) per pudicizia, ma forse avrei dovuto. Nel libro c’è una prefazione di Marco Ramperti che alcuni considerano raggelante, una requisitoria senza pari verso Charlie Chaplin e le sue origini ebree.

 

 

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