Il Golem di Gustav Meyrink
Il golem: romanzo, di Gustavo Meyrink; prima versione italiana con studio introduttivo e note di Enrico Rocca (Foligno, Franco Campitelli, 1926). Opera in 2 volumi.
La creazione del mito del Golem è un fenomeno che affonda le sue radici nella tradizione ebraica e nella cultura ebraica medievale dell’Europa centrale. Il Golem è una figura di argilla animata, una sorta di creatura umanoide che agisce come un servitore obbediente al volere del suo creatore. Questa figura mitica ha ispirato numerosi racconti, opere teatrali e romanzi (nonché film), ma l’opera di Gustav Meyrink intitolata “Der Golem” è considerata una delle più importanti e influenti.
Il romanzo di Meyrink, pubblicato nel 1915, narra la storia di Athanasius Pernath, un gemmologo e restauratore di gioielli che vive nel quartiere ebraico di Praga. La trama si svolge alla fine del XIX secolo e si intreccia con leggende, riferimenti alla Kabbalah, misteri egiziani e pensieri teosofici indiani. Il protagonista è un uomo alla ricerca della propria identità, tormentato dai ricordi oscuri del suo passato e dalla presenza misteriosa del Golem.
Il romanzo è suddiviso in venti capitoli che raccontano una storia intricata e labirintica, piena di personaggi misteriosi e connessioni sottili. Meyrink esplora tematiche come la dualità dell’essere umano, la ricerca dell’identità, la magia e l’occulto. Il quartiere ebraico di Praga diventa un vero e proprio personaggio aggiunto, un labirinto simbolico in cui i personaggi si muovono, svelando segreti e intrecciando le loro storie.
L’opera di Meyrink ha avuto un impatto significativo sulla cultura dell’epoca. Il romanzo è stato lodato per la sua scrittura suggestiva e visionaria, che ha affascinato i lettori dell’epoca. “Der Golem” è stato considerato un classico della letteratura fantastica e ha contribuito a consolidare il mito del Golem come una figura iconica nella cultura popolare.
Il romanzo di Meyrink ha avuto diverse edizioni nel corso degli anni. La prima pubblicazione avvenne a puntate sulla rivista “Die Weißen Blätter” tra il dicembre 1913 e l’agosto 1914, mentre la prima edizione in formato libro è stata pubblicata nel 1915. Da allora, “Der Golem” è stato ristampato e tradotto in numerose lingue, consolidando la sua posizione come uno dei classici della letteratura fantastica.
Le implicazioni culturali del romanzo vanno oltre la semplice narrazione di una vicenda fantastica. Meyrink esplora tematiche complesse legate all’identità, alla psicologia umana e alla ricerca del sé. Inoltre, molti critici vedono in “Der Golem” riflessi delle preoccupazioni sociali e politiche dell’epoca, come l’antisemitismo e l’alienazione sociale.
“Der Golem” ha giocato un ruolo significativo nella genesi del mito del Golem e ha avuto un impatto duraturo sulla cultura dell’epoca. Il romanzo ha affascinato i lettori con la sua trama intricata e le sue tematiche complesse, e ha contribuito a consolidare il Golem come una figura iconica nella letteratura fantastica. Le numerose edizioni e traduzioni del romanzo testimoniano la sua importanza e il suo status di classico della letteratura fantastica.
L’edizione italiana di Franco Campitelli
L’opera – a 11 anni dall’uscita della prima edizione in tedesco – fu stampata a Foligno dalla celebre Stamperia di Franco Campitelli, erede di una dinastia di stampatori locali, nel 1926. Ci rammenta tristemente Domenico Cammarota che il traduttore e curatore dell’edizione, Enrico Rocca, futurista, redattore di “Roma Futurista” e poi de “L’Impero“, germanista e critico letterario, di origini ebraiche (come era del resto lo stesso Meyrink), si suicidò durante il rastrellamento tedesco del Ghetto di Roma (ottobre 1943), per sfuggire alle SS che gli davano la caccia.
Con gli anni Il Golem in prima edizione si è fatto sempre più raro ed esercita ancora un comprensibile fascino per la sua storia e per il mito millenario che tramanda. Il Golem uscì in due volumi, il primo propedeutico ed il secondo che rappresenta il romanzo vero e proprio. La seconda edizione apparirà molto più tardi (1966) per Bompiani nella celebre collana I Pesanervi; seguiranno le edizioni Club degli Editori (1973) e ancora Bompiani (1977, 1988, 1989 ed altre). Con la scadenza dei diritti dell’autore il libro è poi stato ristampato più volte da vari editori negli ultimi vent’anni.
La storica (e Reale) Stamperia Campitelli di Foligno
La dinastia dei Campitelli, nota famiglia di tipografi editori, ha lasciato un importante impronta nella storia di Foligno per ben 241 anni, dal 1694 al 1935. Fondata da Niccolò Campitelli, la stamperia passò di padre in figlio secondo un preciso ordine e periodo di attività.
Niccolò fu il primo a trasferirsi a Foligno, proveniente da Macerata, e fondò la prima sede della stamperia al Trivio, nell’angolo tra gli odierni corso Cavour e via Garibaldi. Si narra che i Campitelli fossero i detentori del celebre “torchio della Divina Commedia“, con il quale fu stampata a Foligno nel 1472 la prima edizione del poema di Dante Alighieri.
Nel 1697, Niccolò stipulò un contratto di collaborazione con Pompeo Campana, suo genero, ma le stampe continuarono ad essere pubblicate unicamente “Per Niccolò Campitelli“. Nel 1720, alla morte di Niccolò, i beni e la prospera “Tipografia camerale ed episcopale” vennero ereditati dai figli Feliciano e Filippo, che ottennero anche il titolo di “stampatori accademici” per l’Accademia Fuiginia della città.
Sotto la gestione di Feliciano e Filippo, le stampe venivano prodotte con la dicitura “Per Feliciano e Filippo Campitelli” e questo si protrasse fino alla morte di Filippo nel 1765. Da quel momento in poi, Feliciano rimase l’unico responsabile dell’azienda fino al 1780, quando passò il testimone a suo figlio Giambattista.
Giambattista ottenne nel 1782 il titolo di “stampatore pubblico” dal comune di Foligno, prendendo il posto di Giovanni Tomassini, un concorrente originario di Pesaro ma diventato genero ed erede di Campana. Nel 1811, Giambattista ottenne anche il brevetto ufficiale di tipografo dal governo napoleonico. Curiosamente, non utilizzò mai il suo nome sulle stampe, preferendo sempre l’indicazione “Per Feliciano Campitelli“. Durante il periodo della dominazione francese compariva anche la dicitura “Per il cittadino Feliciano Campitelli, stampatore nazionale“.
A partire dal 1780, il nome del gestore-proprietario non fu più considerato e sia la tipografia che le stampe continuarono a portare il nome di “Feliciano Campitelli” fino al 1920, quando comparve invece il nome “Franco Campitelli editore“. Nella prima metà del XIX secolo, la tipografia dei Campitelli fu messa alla prova dalla concorrenza di Giovanni Tomassini, che aveva preso il titolo di “stampatore pubblico e vescovile”. Tuttavia, nella seconda metà del secolo, grazie a Francesco Bocci, l’azienda tornò alla prosperità.
Celebri alcuni tesori del Novecento
Nei primi trent’anni del XX secolo dai torchi di Campitelli uscirono opere oggi assai ricercate, come ad esempio Architettura Futurista di Virgilio Marchi (1924), l’Opera completa di Umberto Boccioni (1927) o La danza di Frine di Antonio Galeazzo Galeazzi (1923). Ma anche: Poeti allo specchio di Luciano Folgore (1926), i Fioretti di Sancto Francesco (1923), Futurismo e fascismo di F. T. Marinetti (1924), Le forze umane di Benedetta Cappa (1924) e La maschera mobile di Anton Giulio Bragaglia (1926) e ancora Canti per le chiese vuote di Paolo Buzzi (1930). La lista potrebbe continuare a lungo.
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