"Avete fatto caso che gli unici roghi della storia riguardano libri e streghe?"

 

Introduzione a Finnegans Wake, saggi di Samuel Beckett …[et al.]; prefazione di Sylvia Beach (Milano, Sugar, 1964).

 

 

 

 

 

 

Il fenomeno dell’Intraducibilità di “Finnegans Wake” di James Joyce

Nel vasto panorama della letteratura mondiale, pochi testi hanno suscitato tanta meraviglia, ammirazione e, al contempo, perplessità, quanto il complesso, enigmatico e intramontabile “Finnegans Wake” di James Joyce. L’opera, pubblicata in lingua originale nel lontano 1939, è stata oggetto di innumerevoli dibattiti e riflessioni nell’ambito della traduzione, portando alla luce un tema cruciale e affascinante: l’intraducibilità.

Il romanzo, concepito come un poemetto eroicomico in prosa, rappresenta un monumentale esperimento linguistico e concettuale, in cui Joyce spinge la tecnica del flusso di coscienza alle sue estreme conseguenze. La struttura onirica e polisemica del testo, associata a uno stile linguistico che sfida le norme convenzionali di grammatica e ortografia, ha da sempre costituito una formidabile frontiera per i traduttori di ogni epoca e cultura. La questione dell’intraducibilità di “Finnegans Wake” si fa pertanto cruciale, suscitando interrogativi profondi sulla natura stessa del linguaggio e dell’interpretazione letteraria.

Il titolo stesso dell’opera, nella sua ricca ambiguità semantica, offre già un’introduzione al complesso reticolo di significati che permea l’intera narrazione. Joyce, nel rimuovere l’apostrofo del genitivo sassone, trasforma “Finnegan” in un sostantivo plurale, sottolineando una sorta di molteplicità inestricabile e un’umanità universale che cade, veglia e risorge. Questo intricato intreccio di significati, sotteso alla forma stessa del titolo, rivela la sfida inestimabile che l’opera pone di fronte ai traduttori, chiamati a tentare l’impossibile nel trasmettere in un’altra lingua l’essenza multiforme e caleidoscopica di “Finnegans Wake“.

L’edizione italiana dell’opera ha costituito un lungo e affascinante percorso, culminato con l’imponente impresa di traduzione condotta da Luigi Schenoni, Enrico Terrinoni, Fabio Pedone e altri studiosi. La monumentalità della sfida traduttiva è emersa nel corso degli anni con una chiarezza sempre più nitida, portando alla luce la necessità di trovare soluzioni creative e originali per rendere giustizia all’originale joyciano. Il lavoro dei traduttori italiani, accompagnato da saggi critici e introduzioni che ne sottolineano le sfide e gli esiti, si pone come un esempio paradigmatico di come l’intraducibilità possa diventare terreno fertile per un’incessante ricerca e rielaborazione del testo.

Il confronto tra l’originale inglese e le sue varie traduzioni permette di indagare profondamente i meandri della lingua e della cultura, mettendo in luce l’ineludibile tensione fra fedeltà al testo e creatività nella trasposizione. Le scelte linguistiche, stilistiche e interpretative adottate dai traduttori italiani, le loro costanti sperimentazioni e il coraggioso dialogo con l’opera originale offrono uno spaccato fecondo di come l’intraducibilità possa diventare il terreno stesso in cui si riafferma la vitalità della letteratura e della traduzione.

L’avventura della traduzione di “Finnegans Wake” non si esaurisce nella pubblicazione delle edizioni italiane, bensì si proietta nel futuro verso nuove sfide e nuove interpretazioni. L’opera di Joyce continua a soggiogare e stimolare lettori e studiosi di ogni parte del mondo, aprendo spazi inesplorati di ricerca e riflessione sulla natura della parola e della creazione artistica.

 

Italia: prima del 1982

La prima edizione italiana del Finnegans Wake di James Joyce è del 1982 (Mondadori). Prima di allora facevano testo in particolare tre saggi sull’argomento. Il primo in ordine di tempo è Englandʼs Helicon: antologia delle letterature in lingua inglese dal Cuccu Song a Finnegans Wake con un breve disegno di storia letteraria, di Gabriele Baldini (Torino, Lattes, 1953). Il terzo è quello di Umberto Eco, dal titolo Le poetiche di Joyce: dalla ‘Summa’ al ‘Finnegans Wake’ (Milano, Bompiani, 1966).

Nel mezzo a queste due opere va a cadere l’unico saggio espressamente dedicato all’opera impenetrabile di Joyce, cioè Introduzione a Finnegans Wake, saggi di Samuel Beckett …[et al.]; prefazione di Sylvia Beach (Milano, Sugar, 1964). L’opera raccoglie i maggiori contributi e pareri sul capolavoro in flusso di coscienza dell’autore irlandese, tracciandone fattibilità di traduzione, significato generale e importanza in seno alla storia della letteratura. La conclusione, inevitabile per i tempi, fu che il Finnegans Wake è “un’opera di fatto intraducibile“. Il saggio in questione si è fatto ricercato e di conseguenza sono lievitate le sue valutazioni sul mercato dei libri usati e fuori catalogo.

 

 

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