La via di mezzo della conoscenza: una prospettiva gnoseologica, di Francisco J. Varela; Evan Thompson; Eleanor Rosch (Milano, Feltrinelli, 1992).
La via di mezzo della conoscenza rappresenta un’alternativa fra il solipsismo (negazione di una realtà circostante) e il rappresentazionismo (credenza in un mondo pre-dato).
Varela e gli altri autori del libro credono che il processo conoscitivo possa navigare fra i due estremi, muovendosi in una pericolosa odissea epistemologica tra il solipsismo e il rappresentazionismo. Questa via conoscitiva cerca di porsi fra coloro che negano solipsisticamente l’esistenza di una realtà circostante e coloro che credono nell’esistenza di un mondo pre-dato. La visione enattiva del colore rappresenta una pericolosa navigazione attraverso l’oceano della percezione e della conoscenza, cercando la via di mezzo fra soggettivismo e oggettivismo.
Da un’intervista a Francisco J. Varela del 1992:
Vorrei chiederle di illustrare brevemente il concetto di “Via di mezzo della conoscenza”.
La via di mezzo della conoscenza si colloca in un’interessante prospettiva gnoseologica che mira a superare il tradizionale dualismo tra soggettivismo e oggettivismo, cercando di individuare uno spazio interposto fra la coscienza e il mondo. Questo spazio, chiamato “entre-deux”, indica la distinzione tra sé e il mondo e insieme la loro continuità, offrendo una visione della conoscenza radicata nella storia dell’accoppiamento strutturale tra l’organismo e l’ambiente in cui vive, anziché nell’Io come punto di riferimento ultimo.
Interessante. Il vostro libro evidenzia una critica alla fenomenologia di Husserl e di Merleau Ponty. Potreste spiegarci brevemente in che modo la vostra prospettiva si differenzia da quella fenomenologica?
Certamente. La nostra prospettiva mira a esplorare la circolarità del sapere non ignorando l’immediatezza dell’esperienza. Contrariamente alla fenomenologia di Husserl e di Merleau Ponty, che, per quanto improntata sull’esperienza, manca di una dimensione pragmatica, noi incoraggiamo la riscoperta della filosofia asiatica come un potenziale Rinascimento per l’Occidente, integrando metodi specifici e rigorosi per raggiungere la conoscenza, come le tecniche di meditazione e la pratica dell’autopresenza.
La vostra opera sembra dare particolare rilievo ai contributi della filosofia orientale, in particolare del buddismo. In che modo tali contributi influenzano la vostra visione della conoscenza?
La filosofia orientale, in particolare il buddismo, ci ha fornito prospettive uniche sulla vacuità dell’Io e sull’infondatezza del mondo, temi che abbiamo esaminato per sviluppare la teoria dell’enazione. Tale teoria non riconosce nell’Io il fondamento unitario del sapere, ma piuttosto evidenzia come la conoscenza si radichi sempre nella concreta esperienza soggettiva, riflettendo una reciproca specificazione e selezione fra l’organismo e l’ambiente in cui vive.
Molto interessante. Infine, qual è il messaggio principale che desiderate trasmettere attraverso il vostro libro?
Il nostro intento principale è quello di offrire una nuova visione della conoscenza, una prospettiva radicata nella storia dell’accoppiamento strutturale tra l’organismo e l’ambiente, eliminando i preconcetti sul ruolo dell’Io come fondamento ultimo della riflessione. Vogliamo esortare i lettori a considerare la cognizione come un’azione incarnata, un’esperienza viva e consapevole radicata nel corpo e nella storia umana, incoraggiandoli a vivere in mondi privi di fondamento senza paura.
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