Trovare i libri di questa scrittrice è sempre più difficile
di Alessandro Zontini
[da Il Piccolo di Cremona, per gentile concessione]
Nel 1899, ad Albano Laziale, nasceva la piccola, graziosa, Ida destinata ad una notevole carriera di attrice cinematografica, di produttrice e, pure, di autrice in prosa, ma, come troppo spesso avviene, destinata pure all’oblio più ingiusto e censurabile, per motivi politici.
Una vera e propria star del cinema
Ida Maranca, dopo aver compiuto regolari studi, si dedicava anche alla recitazione e, assunto il nome d’arte di Marcella Albani, si avvicinava al mondo del cinema nella capitale del Regno d’Italia. A Roma, Marcella incontrava Guido Parish che la dirigeva in alcuni film di successo del primo dopoguerra per la Miriam Film.
Allettanti proposte economiche ed una certa innata intraprendenza conducevano, nel 1920, Marcella a Torino ove, per la Ambrosio Film, recitava in alcuni film di grande successo commerciale, sempre nella preminente parte di protagonista. Terminata la feconda parentesi torinese, Marcella Albani si trasferiva nella vivace ed artisticamente attiva Berlino della Repubblica di Weimar ove ricopriva, ancora, ruoli di principale interprete di altri film di successo, azzardando anche di fondare una propria casa cinematografica, la Albani Film.
A Berlino, Marcella Albani intrecciava la propria carriera cinematografica con alcuni degli attori e dei registi più celebri dell’epoca, tra cui Werner Krauss, Wladimir Gaidaroff e, soprattutto, Paul Wegener, il celebre regista de Lo studente di Praga del 1913 e del Golem, capolavoro dell’espressionismo tedesco, del 1915, che riprende la celebre leggenda derivata dalla tradizione ebraica del famoso mostro d’argilla messo dal rabbino capo a guardia del ghetto per proteggere i suoi abitanti dalle persecuzioni.
Dalla Germania, Marcella Albani vaga per l’Europa, raggiungendo la Francia, la Cecoslovacchia e l’Austria ove, sempre primeggiando quale attrice nel cinema dell’epoca, sistematicamente conquistava critica e platee del folto pubblico che adorava questa affascinante attrice italiana nota per il fascino muliebre a metà tra l’esotico ed il mediterraneo nonché per la celebre eleganza che surclassava quella delle altre dive di origini non italiane, nonostante costumi di scena spesso improponibili o goffi quali quelli da odalisca, da imperatrice o da atleta di sci, più vicina a certi curiosi e fantastici costumi futuristi che alle moderne tute termiche degli odierni sportivi.
Tornata in Italia, la Albani, reduce dai tanti successi europei, non faticava a ritrovare il grande trionfo patrio. Nel 1930 recitava, insieme a Renzo Ricci e a Carlo Ninchi, diretta da Guido Brignone, nel film Corte d’Assise. Nel 1932, in Italia, si avvia la felice stagione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, voluta ed organizzata dal conte Giuseppe Volpi e Marcella Albani, alla prima edizione di questa kermesse cinematografica, si fa ammirare da nugoli di fans in delirio, calcando le passerelle insieme a dive dell’epoca, quali la canadese Mary Pickford, l’americana Kay Francis e, soprattutto, la tedesca Brigitte Helm, indimenticabile attrice nel doppio ruolo di donna robot e di Maria nel celebre film Metropolis, diretto da Fritz Lang nel 1927.
L’apice della carriera coincide con l’era fascista
Nel 1931 sposato, a Venezia, il giornalista e regista cinematografico Mario Franchini, Marcella interpretava ancora La città dell’amore e Ritorno alla terra, entrambi nel 1934, Stradivari nel 1935 e Il principe di California del 1936, pellicola cui veniva assegnata, nello stesso anno, la Coppa Mussolini.
Mario Franchini è un fedelissimo del Duce e il suo notevole carisma nonché una certa caratura intellettuale gli consentivano di godere di ruoli di rilevo nell’ambito della cultura dell’epoca. Franchini e l’Albani sono spesso ritratti sui rotocalchi dell’epoca ed interpretano alla perfezione il loro ruolo di divi, felicemente sposati, nell’Italia fascista che si vantava dei successi calcistici del 1934 e del 1938, dei record aviatori di Italo Balbo, ma che stava marciando inesorabilmente verso le leggi razziali e lo scoppio della Seconda guerra mondiale.
In effetti, Marcella Albani ha vissuto l’apice della propria carriera di attrice in un momento storico molto particolare, compresso tra le due guerre mondiali, la nascita del comunismo, del fascismo, del nazismo, un’epoca di poderose innovazioni tecnologiche, industriali e militari che, tuttavia, era connotata da una costante spensieratezza, allegria e libertà, così come si coglie dai romanzi dell’epoca di Guido Da Verona e di altri autori coevi.
L’interesse di Marcella per il cinema, dopo aver ottenuto applausi ed ammirazione in Europa, calava repentinamente accompagnato dall’irrompere, sulle scene, di nuove e più giovani attrici che le contendono il ruolo di stella di primaria grandezza.
La fiamma si spegne ma restano i suoi romanzi
Ma la donna, dotata anche di indiscusse doti di scrittrice, si dedicava anche al giornalismo, essendosi già cimentata nella scrittura di qualche avvincente romanzo e di qualche novella. Per esempio, il suo racconto La città dell’amore veniva adattato per il corrispondente film diretto proprio da Franchini nel 1934. Purtroppo, come era stata attrice di successo nel cinema degli anni ’20 e ’30, così non incontrò lo stesso successo come scrittrice, ritirandosi sulla riviera ligure, immersa nei propri gloriosi ricordi prima di ripartire, nel 1944, per la Germania, ove si spense a Bonn, a causa di un male incurabile, secondo alcune fonti, oppure per un attacco cardiaco, secondo altre voci, nel 1959.
Di Marcella Albani restano un pugno di dimenticati romanzi quali Innamorata, L’amata e Straniera, tutti connotati da belle copertine in stile razionalista-tardo futurista, grafica molto comune negli anni Trenta. Del primo romanzo, dell’anno 1931, secondo il sistema Opac Sbn sono note 7 copie, di L’amata, del 1932 e di Straniera del 1933, solo 5 copie di entrambi i volumi.
Eppure in una foto dell’epoca la si vede, quasi un novello Gabriele D’Annunzio, arringare la folla nell’atto di promuovere un suo romanzo davanti ad un gruppo di uomini incuriositi e interessati. I romanzi sono ben scritti ed interessante spaccato della società dell’epoca, riuscendo a mescolare un certo riconoscimento per il fascismo con una avanguardistica visione proto femminista della donna degli anni ’30.
Nel suo già citato Straniera si legge:
“Nella piazza si schieravano le squadre di Camicie nere, le centurie di militi, i sindacalisti, i dopolavoristi, le associazioni, i balilla, gli avanguardisti, i giovani fascisti, le piccole e giovani italiane, le colonne delle giovani fasciste, ed i gruppi smaglianti delle donne in costume…”
e, anche:
“questo popolo ha uno spirito di disciplina militare. Cinquanta milioni di italiani formano una nazione di cento milioni!”.
E si rinviene spesso la concezione bellica vista attraverso “la nostalgia della trincea, cioè per la forma di vita primitiva del milite, più bella e più eroica”, antitetica alla comoda ed agiata vita da avvocato del protagonista cui non manca nulla, in termini di affetti e di ricchezza, ma cui manca lo spirito guerriero e la bellezza della battaglia.
Tale visione che, oggi, definiremmo storicamente “fascista”, si coniuga, nei romanzi dell’Albani, con l’ambizione di emancipazione della donna che è sempre intelligente, arguta, in grado di autodeterminarsi e consapevole del suo ruolo nella società. Purtroppo questa sua lucida, innovativa, intelligente visione del mondo femminile, anticipatoria di movimenti che nasceranno decenni dopo, non le ha garantito i riconoscimenti che meritava e, tuttora, merita.
L’adesione al fascismo ne ha decretato una radicale rimozione con danno non solo al suo acume ed alle sue capacità artistiche ma, anche, alla cultura in generale.
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