Il mondo era orfano di Salgari
Emilio Salgari era scomparso ormai da quasi dieci anni – lui, il grande narratore che aveva solcato i mari e gli oceani di tutto il mondo con la sua fantasia e le sue avventurose (ma documentatissime) trovate. Molti editori non si rassegnavano alla perdita della gallina dalle uova d’oro. È documentato come gli stessi figli dell’intrepido veronese assoldarono dei ghostwriter che scrissero per alcuni anni a suo nome, spacciando il materiale come inedito e soprattutto autentico.
Ma che, in vita, il rapporto fra Salgari e i suoi “datori di lavoro” fosse un rapporto di quasi completa sottomissione è cosa risaputa. Ci sono lettere di Salgari, negli ultimi anni, in cui traspare il suo sforzo e il grave stato di esaurimento nervoso cui era soggetto, incatenato da contratti-capestro coi suoi editori; contratti che lo obbligavano a scrivere a ritmo continuo, senza pause. Scrive lui stesso in qualcuna di queste epistole di sfogo:
“A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna.”
“La professione dello scrittore dovrebbe essere piena di soddisfazioni morali e materiali. Io invece sono inchiodato al mio tavolo per molte ore al giorno e alcune della notte, e quando riposo sono in biblioteca per documentarmi. Debbo scrivere a tutto vapore cartelle su cartelle, e subito spedire agli editori, senza avere avuto il tempo di rileggere e correggere.”
Nomi come Americo Greco, Sandro Cassone, Renzo Chiarelli, Emilio Moretto o Giovanni Bertinetti sono ben noti ai biografi dello scaligero. Lo stesso Luigi Motta – il quale possiede una sua precisa posizione nella narrativa popolare – si era prestato a scrivere sotto il nome di Salgari, affiancandone il nome in copertina.
Di molti romanzi d’avventura, di mare, di pirati e corsari del tempo, però, non sappiamo alcunché. Ci sono, infatti, nomi che ci suonano “falsi”, chiaramente inventati, pseudonimi costruiti di autori plausibili. Uno di questi è Jason Hooper. forse preso a prestito da qualche personaggio letterario. Di lui abbiamo trovato un libro – per la prima volta dotato della rarissima sovraccoperta – dal titolo Il mistero di Naropur (Milano, Vitagliano, 1920).
Ed è questo libro uscito oltre 100 anni fa che oggi – un po’ alla cieca – ma anche con quel fiuto che ci contraddistingue, segnaliamo agli estimatori dell’avventura, ai paladini del romanzo popolare, ai baluardi di un secolo, il XX, che è ancora ben presente, ben radicato, saldamente avvinto alla nostra epoca di illusi uomini del futuro.
John Ringling, Richard Davis, John Mc Bride erano gli altri autori della collana della Vitagliano, tutti – a quanto sembra – autori di un solo titolo. E anche di loro ci sarebbero tante storie da raccontare, tante vicende personali da scrivere. Ognuno porta la sua croce, e anche noi abbiamo la nostra.
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