Una delle pagine più tristi e sanguinose della resistenza italiana
La Bettola (Il dramma della notte di S. Giovanni 1944 – In memoria di tutte le vittime del Nazi – Fascismo), di Roberto Vinceti (Reggio Emilia, Cooperativa Operai Tipografi, 1945).
[Opuscolo dell’archivio di F. M., Scandicci, Firenze)]
L’eccidio della Bettola
di Fabrizio Mugnaini
L’eccidio della Bettola fu una rappresaglia nazista che avvenne nella notte tra il 23 e il 24 giugno 1944 nei pressi della Bettola, una località nel comune di Vezzano sul Crostolo sull’Appennino reggiano. A scatenare la violenza tedesca fu uno scontro con il Distaccamento “Celere”, un gruppo di giovani partigiani che aveva il compito di far saltare il ponte in muratura che collegava la Bettola al comune confinante di Casina, dove era dislocato un presidio della polizia militare della Wehrmacht.
Già un primo fallito tentativo da parte dei “ribelli” aveva messo in allarme i soldati germanici che la sera del 23 giugno erano giunti sul posto con un automezzo allo scopo di impedire ai partigiani di compiere la definitiva distruzione del ponte.
Verso le 22:30 di quella sera ebbe inizio uno scontro durante il quale morirono alcuni tedeschi e i partigiani Enrico Cavicchioni (Comandante “Lupo”), Pasquino Pigoni “Maestro” e Guerrino Orlandini “Drago”. La reazione tedesca fu immediata e, alle 23:15 circa, 50 dei 140 uomini del presidio di Casina partirono dalla caserma e arrivarono alla Bettola autotrasportati.
La rappresaglia iniziò verso l’una della notte: i nazisti circondarono le poche case situate nei pressi del ponte. Prima entrarono nella casa di Liborio Prati e Felicita Prandi, due vecchi di 70 e 74 anni, riunirono la figlia vedova Marianna e la nipotina undicenne Liliana nella camera da letto e aprirono il fuoco contro di loro.
Depredarono e incendiarono la casa. La piccola Liliana riuscì a sopravvivere gettandosi dalla finestra e trascinandosi ferita verso il fiume. Poi i nazisti passarono alla locanda, denominata Antico Albergo Ponte Bettola, dove si fecero aprire la porta dall’oste Romeo Beneventi. Fecero uscire le donne, i bambini e gli uomini: dapprima li costrinsero a rimanere a lungo a terra, poi li divisero in due gruppi per facilitarne l’eliminazione. I primi furono mitragliati, poi ricoperti di tronchi d’albero, cosparsi di benzina e dati alle fiamme per incenerirne i cadaveri.
Coloro che invece erano stati radunati dietro al grosso fabbricato, vennero trucidati a bastonate e a colpi di pistola, quindi gettati anch’essi nel rogo insieme agli altri. Tra di loro fu arso vivo anche Pietro Varini, un bimbo di appena 18 mesi. Altre due giovani donne furono violentate, uccise e anch’esse arse nel fuoco.
Oltre alla piccola Liliana, che il mattino seguente fu trovata da un contadino sul ciglio della strada, riuscirono a salvarsi l’oste, alcuni carrettieri nascosti in cantina e un giovane renitente rifugiatosi in un solaio. Alla fine si contarono 32 morti, in gran parte sfollati dalla città, braccianti, carrettieri di passaggio, uomini, donne e bambini di età compresa tra i 5 e i 74 anni.
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