Via da me, di Mauro Curradi (Milano, A. Mondadori, 1970).
La prima edizione di un capolavoro (misconosciuto e sottovalutato) della letteratura italiana della seconda metà del 900.
Rilegatura editoriale con sovraccoperta; formato alto 20 cm; 267 pp.; condizioni buone, evidenti segni d’uso alla sovraccoperta con qualche piccolo strappo ma interno ottimo.
Mauro Curradi (1925-2005), pisano, è stato uno scrittore fuori dalla pazza folla, lontano dalle accademie, avulso da ogni etichetta. Di lui il primo dato che balza agli occhi è lo straordinario nomadismo, i suoi viaggi, le lunghe permanenze all’estero dove ha insegnato nelle università locali e diretto vari istituti di cultura italiana. Da Stoccolma ad Addis Abeba, da Nuova Delhi a Tel Aviv, fino a Tunisi. Oltre a una lunga permanenza in Marocco.
Lo possiamo senz’altro definire come un nomade dell’intelletto, uno zingaro del sapere che ha percorso le vie non consuete, anzi, per lo più disprezzate dalla cultura mainstream. Un arabo tra gli arabi, un ebreo tra gli ebrei. Senza preconcetti, ma anche senza infatuazioni misere e sciocche. Non ha solo amato i popoli che ha frequentato, ma li ha odiati quando era il caso, sostenuti o contrastati a seconda di quello che facevano o di quello che dicevano. Come in effetti dovrebbe essere nell’esercizio dell’onestà intellettuale da parte di chiunque.
In carriera ha pubblicato vari romanzi, ma – per sua stessa ammissione – gli è mancato il successo alla “Via col vento“, quello in grado di scalare le classifiche di apprezzamento, capace di attirare l’attenzione della critica e del lettore. Non che la cosa, in fondo, gli interessasse più di tanto. Ma solo per dire le cose come stanno.
Disponibilità del libro (sempre aggiornato)